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Quando ho incontrato TGP: Hugomorales

“Qualcuno mi ha fatto notare che si tratta di un “concept”, ma odiando questa definizione, preferisco definirlo una fabia distopica.”

Intervista a cura di Giorgia Groccia

Hugomorales è Emiliano Angelelli (ex Elio Petri). “Oceano” è il suo secondo disco, in uscita il 15 giugno 2020 per Tazzina Dischi, a quasi cinque anni di distanza dal primo omonimo “Hugomorales”.

“Oceano” è un disco di nove brani ideato, registrato e mixato in solitaria da Emiliano Angelelli nel suo studio casalingo durante la quarantena.

“Oceano” è un disco pop che ha il profumo dei synth anni ’70, dei vecchi pandini in viaggio verso il mare, di vacanze d’altri tempi, di riflessioni attualissime.

Nel disco hanno collaborato Marco Biagetti (Basso elettrico e Batteria) e Francesca Stefanini (Violino), il mastering è stato realizzato da Marco Testa presso Sinusoide Studio e l’artwork è di Valerio Belloni.

“Oceano” è dedicato a Mirko Bertuccioli.

 

 

Ecco la nostra chiacchierata con Hugomorales:

 

Raccontaci del tuo ultimo lavoro discografico, OCEANO. Com’è nato?

L’idea è nata il 15 marzo 2020. Avevo appena finito di allestire il mio nuovo studio di home recording in occasione della quarantena. Inizialmente volevo registrare un disco strumentale, improvvisando con i miei synth. Il primo pezzo che ho registrato è stato “Il canto delle balene” – l’ottavo brano di “Oceano” – che provvisoriamente avevo chiamato “Piove Ferro”. Nonostante fossi molto soddisfatto del risultato, il giorno dopo ho ripreso in mano la chitarra e ho iniziato a canticchiare una canzone che ho intitolato “La pesca degli umani”, nella quale scrivevo di pesci e meduse che conquistavano la Terra e di esseri umani ricacciati e pescati in mare. Da quel testo è partito tutto, ho iniziato a scrivere una canzone dietro l’altra, ognuna che raccontava del proseguo di questa storia: foche, leoni marini, delfini, balene, tonni e salmoni costretti in quarantena da un virus diffuso dagli umani, le riflessioni esistenziali di un pesce durante l’isolamento, la terapia intensiva e la successiva tracheotomia di un altro pesce colpito dal virus, la fuga dal pianeta Terra dei pesci alla ricerca di un nuovo pianeta abitabile guidati da un Maggiore sulle pinne – ispirato a Major Tom di Bowie -, l’atterraggio sul pianeta Oceano nella Nebulosa di Orione e infine la nascita del primo pesce sul nuovo pianeta composto solo di acqua.

Al termine del lavoro, durato un paio di settimane, ho scritto sette brani, ai quali ho aggiunto lo strumentale iniziale e un altro brano strumentale che si chiama “Missione Delfino”. Li chiamo strumentali, anche se si tratta di una definizione inesatta, visto che nel primo ho fatto cantare le balene e nel secondo i delfini. Alla fine l’idea del disco strumentale è completamente saltata ed è nato “Oceano”, il disco più pop che abbia mai scritto. Un disco che è necessario ascoltare dalla prima all’ultima canzone come se fosse una storia.

Qualcuno mi ha fatto notare che si tratta di un “concept”, ma odiando questa definizione, preferisco definirlo una fabia distopica, anche se si tratta di un pleonasmo. Un po’ come dire ho corso una corsa. Tutte le fobie sono distopiche.

 

Per quanto riguarda il sound a chi ti sei affidato per la produzione, quale ricerca di suoni è stata messa in atto?

Per la prima volta da quando scrivo musica, la produzione l’ho curata tutta io dall’inizio alla fine. Devo però ringraziare due persone: Marco Testa e Daniele Rotella. Senza i loro preziosi consigli – nel passato e nel presente – non sarei mai riuscito a realizzare un lavoro completo come “Oceano”. Con Daniele Rotella ho lavorato per la produzione del secondo disco di Elio Petri – “Il bello e il cattivo tempo” – e del primo omonimo di Hugomorales, mentre con Marco Testa sto lavorando attualmente alla realizzazione di un altro disco di Hugomorales.

La ricerca dei suoni di “Oceano” fa parte di un lungo percorso iniziato circa vent’anni fa, a cui hanno contribuito la mia esperienza di vita, i miei ascolti, la mia passione per gli strumenti d’antan e soprattutto il fatto di non aver mai studiato musica, in nessuna forma. L’approccio spontaneo agli strumenti credo abbia caratterizzato il mio modo di scrivere e ricercare. Sempre. Con questo non voglio dire che non bisogna studiare musica, dico solo che questo è stato il mio viaggio.

 

 

Come mai hai scelto proprio gli anni ’70 come punto di riferimento? 

In realtà non ho scelto gli anni ’70. Anzi a dire la verità, quando penso agli anni ’70 mi vengono in mente gruppi come i Genesis e i Pink Floyd – dopo Barrett – e un modo di fare musica che non mi appartiene. Se penso agli anni Settanta che mi piacciono mi vengono in mente T-Rex, The Modern Lovers, Lou Reed, David Bowie, il post-punk, ma non credo che tutto questo rientri nelle mie influenze più dirette.

Credo che l’unico vero riferimento agli anni ’70 siano alcune parti elettroniche suonate con il mio synth – anni ’70 appunto – della Jen, l’SX-2000. Ma credo che la mia musica sia di matrice ’90, che sono gli anni in cui sono cresciuto musicalmente.

 

Se dovessi scegliere un film e un libro che possano rappresentare il tuo progetto e il tuo ultimo album quali sceglieresti?

Il libro sarebbe “Solaris” di Stanislaw Lem, maestro della letteratura fantascientifica polacca, a cui mi sono ispirato per la parte finale del disco, quella più spaziale, in particolare in “Afrodite”. Il film sarebbe “Il mio vicino Totoro” di Miyazaki. “Oceano” lo immagino come un Anime tradotto in musica.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Come dicevo a un tuo collega in un’altra intervista, volare su Marte con Elon Musk, avere un figlio, diventare abbastanza ricco e famoso e per aggiungere qualcosa di nuovo, mi piacerebbe conoscere un alieno prima di morire.

 

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