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Quando ho incontrato TGP: Diamine

Musica in divenire.

Intervista a cura di Giorgia Groccia

Diamine è un duo il fluida evoluzione, una scommessa decisamente ben riuscita targata casa Maciste Dischi. Raccontarsi in musica diventa il giusto pretesto a carico della sperimentazione, una scia in divenire di idee con un unico credo, il non doversi porre limiti mentali circa la propria individualità artistica.

Si chiama Via del Macello il nuovo singolo di Diamine che anticipa l’album d’esordio Ma che Diamine, in uscita il 1° maggio per Maciste Dischi/Sony Music Italy.

“In via del Macello non succede niente – racconta il duo – C’è un ragazzo che guarda passare la gente. Bellissimi dubbi scoppiati dagl’occhi ma la vita che conta è quella che tocchi. Più che felice sembra alterato, capisce tutto ma resta confuso. Come una visione appare la realtà: un dirigibile enorme con la prua di vetro. È la speranza che punta proprio il suo di-dietro”

Oltre al nuovo singolo, sono tre i brani che hanno già anticipato il primo album di Diamine.

 

 

Noi di tgp abbiamo scambiato quattro chiacchiere con loro, eccone il risultato:

 

Il progetto Diamine è il risultato di un percorso musicale snodato in diversi periodi e in diverse tipologie di sound. Ci raccontate la genesi del vostro progetto musicale dagli albori? 

Noi siamo due strumentisti: Nico batteria e io basso. Abbiamo sempre avuto progetti diversi poi, sopravvissuti al nostro Vietnam, abbiamo deciso di frequentarci per fare musica abbandonando i nostri “strumenti a mano”. Ci siamo appassionati a questo contrasto uomo – macchina che è lo stesso che si respirava nel piccolo studio tra i boschi ai confini con l’Abruzzo dove ho vissuto per due anni e dove abbiamo cominciato a scrivere i primi brani. Nico aveva della musica molto quadrata e io alcuni testi molto circolari. Per noi era una situazione completamente diversa, ci siamo quindi appassionati e abbiamo cominciato a dare ordini a queste macchine del suono che avevamo a disposizione cercando di materializzare le idee. Maciste ha creduto da subito nel progetto e dopo un periodo live abbiamo coinvolto anche Sony. Noi non abbiamo mai ricercato un solo sound ma abbiamo sempre ragionato per brano, per noi ogni brano è un esperimento, un sogno. Come diceva qualcuno di più intelligente di me: “un Dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette”.

 

Il vostro penultimo singolo, “Isolamento”, fa parte di un percorso intrapreso tramite altri due singoli precedentemente usciti. Da cosa deriva questa finestra spalancata sull’incoscienza che si è trasformata man mano in una presa di posizione?

Noi non prendiamo posizioni, sappiamo che la musica non frequenta la ragione, quella di nessuno. La musica non la puoi acchiappare perché è sempre in divenire, come il tempo, come l’armonia. Non c’è niente in musica che non sia relativo, è tutto in relazione ed è questo il fascino infinito della questione. Abbiamo fatto un giro immenso per poi tornare al punto di partenza con una consapevolezza in più. Abbiamo sempre cercato di essere diretti ed essenziali ma non sempre la luce ha la forma della luce.

 

 

Sappiamo che il vostro lavoro discografico è al momento finalizzato alla pubblicazione di un intero album. Considerate il lavoro svolto un concept o un percorso con dei tasselli assestanti?

Probabilmente questo lo capiremo dopo, ma i concetti in generale ci interessano poco. Diffidiamo dai concetti perché hanno sempre un punto implicito alla fine, noi siamo più quelli che frequentano i dubbi e le alte maree.

La cosa più stabile che conosciamo è questa eterna instabilità dentro e fuori di noi.

 

Se doveste scegliere tre album che vi hanno cambiato la vita quali scegliereste e perché.

Possiamo dire che abbiamo goduto molto di Black Sabbath dei Black Sabbath, Michael Jackson in Thriller, Motorhead dei Motorhead . I motivi sono legati alle nostre vite, erano gli album giusti nel momento giusto.

 

Cosa pensate della scena musicale odierna? 

I grandi numeri ci dicono che i ragazzi evidentemente non hanno voglia di dire né di sentirsi dire niente. I trentenni vanno a seguire la musica dei ragazzini per sentirsi al passo con i tempi, i vecchi si sa, sono tagliati fuori.  Ecco che si avvera quello che Galimberti aveva annunciato più di 20 anni fa con “l’ospite inquietante”: gli stimoli che ci vengono indotti sono così tanti e così continui che il cervello di un adolescente ha due possibilità: o andare in angoscia o abbassare il livello d’attenzione. A questo punto abbiamo oggi tutti i presupposti per la fine di questo tipo di occidente. La Cina è già più decisiva della buona vecchia America e il virus ci sta facendo capire quanto sono fragili le cose a cui dedichiamo la vita o quanto è grande il regalo che si fanno gli innamorati: assicurarsi la presenza e l’ospitalità che solo delle braccia umane aperte sanno dare. Adesso che siamo chiusi in casa senza possibilità di uscire e con il futuro incerto vi sembrano ancora interessanti quelle canzoni di bambini sulle Lamborghini che si vantano del potere concessogli dai soldi di famiglia? Io non spero che le cose cambino, per me già sono cambiate. Siamo l’ultimo paese europeo nella classifica della comprensione di un testo, vogliamo ancora scimmiottare le mode americane? Dai! Non siamo un popolo così pessimo direi, torniamo grandi, ritroviamoci.

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