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Quando ho incontrato TGP: Apice & Svegliaginevra

‏Doppia intervista.

Intervista a cura di Davide Lucarelli

Apice Svegliaginevra sono due esponenti di spicco del cantautorato emergente contemporaneo. Entrambi membri della scuderia de La Clinica Dischi, a una settimana dall’uscita dei loro ultimi singoli, ci regalano Barche, un brano nato da una collaborazione sentita tra due artisti dalla sensibilità affine.

 

 

Abbiamo avuto la possibilità di fare una doppia intervista con gli artisti.

 

Ciao! Per cominciare, presentatevi reciprocamente!

S. Ciao, lui è Apice, il mio cantautore preferito oltre che poeta e filosofo dei giorni nostri. Ascoltare le sue canzoni fa bene al cuore e alla vita.

A. Lei è Svegliaginevra, faremo un disco insieme anche se lei ancora non lo sa. Ma ormai ci apparteniamo, e di me non ci si libera facilmente. Soprattutto quando mi innamoro!

 

Siete entrambi cantautori, ci raccontate come è nata la vostra primissima canzone in assoluto? (Sì, quella che avete scritto da adolescenti e di cui oggi vi vergognate probabilmente)

S. Ho scritto la mia prima vera canzone all’età di 13 anni se non poco più. Era un dialogo tra me e mio padre, che venne a mancare pochi mesi prima. Scrivere mi ha aiutato nei momenti peggiori. Devo tanto alle mie canzoni, soprattutto alle prime.

A. Credo di avere cominciato anch’io a scrivere a quell’età; da bravo “vecchio in potenza” avevo copiato di sana pianta un pezzo dei Nomadi e Guccini, “L’atomica cinese”. Una cosa atroce, poi immaginatevi un barilotto di dodici anni che parla di apocalisse, morte e distruzione. Ero un bambino particolare.

 

Una settimana fa ci avete presentato i vostri singoli “Come Fanno Le Onde” e “Precipitare”, rispettivamente. Ci raccontate invece la genesi di questi brani, rapportandoli magari con quella primissima canzone di cui abbiamo parlato poco fa?

S. La connessione sono soltanto io che nel profondo sono ancora la stessa. Ho bisogno sempre di analizzare quello che vivo e che provo, è così che poi ho cominciato a scrivere, per questo. Come fanno le onde e il mio primissimo pezzo che adesso neanche ricordo bene sono sicuramente accomunati da un bisogno di certezze, di risposte e di accettare che a volte le cose accadono e basta.

A. Beh, io precipito da sempre, come puoi aver intuito dai miei primi esordi come cantautore. Ora, l’apocalisse la sento più vicina, più attuale e più condivisa, ecco. Siamo la generazione del millenial twist, del crepuscolo degli Dei. Diciamo che ora l’anagrafe mi permette di scrivere quello che più di diec’anni fa già sentivo, senza sentirmi troppo anacronistico. Solo un po’.

 

 

Invece ora è arrivato il vostro singolo in comune, “Barche”. Quando vi è venuta in mente l’idea di collaborare e come l’avete poi sviluppata?

S. L’idea di scrivere un brano a quattro mani è sempre stato un mio desiderio, espresso più volte a Manuel, dal primo dei giorni che ho scoperto Lucciole su Spotify.
Barche è figlia di due cantautori molto diversi ma che in comune hanno una prepotente esigenza di comunicare ed esprimere le emozioni più intime.
E’ una canzone a cui tengo particolarmente perché piena di ricordi, posti e immagini che associo ai momenti di vita che ricordo con più amore.
Questa è un’estate diversa dalle altre, veniamo da una situazione tragica e surreale come quella del virus che ha stravolto le nostre vite completamente. E noi, con Barche, volevamo scrivere una canzone che fosse di tutti, non solo la nostra. Siamo partiti da un’idea di Manuel meravigliosa, e da lì tutto si è sviluppato in maniera tanto naturale da non rendercene conto.

A. Sì, Ginevra ha già detto tutto. Poi, quando si scrive insieme non si sa mai dove si può andare a parare, ed ognuno dà al brano il significato che più gli appartiene. Ecco, la cosa incredibile è stata scoprirci così simili, così vicini; la sensazione di essere spersi in alto mare, alla ricerca di porti sicuri in cui proteggerci dai naufragi di noi stessi è evidentemente qualcosa che appartiene un po’ al nostro tempo, alla nostra età. Poi sì, il contesto circostante ha certamente in qualche modo indirizzato le nostre sensibilità verso un certo tipo di linguaggio, di atmosfera. Però, ti assicuro che non c’è stato mai nulla di più naturale di lasciar dire a Ginevra quello che avrei voluto dire. Barche, in un certo senso, non è una canzone che abbiamo scritto ma un qualcosa che abbiamo sudato, in maniera quasi fisiologica e spontanea.

 

Finiamo, come oramai consuetudine dal lockdown in poi, con una domanda sui live. Fateci un po’ sognare raccontandoci qual è il concerto a cui avete assistito che, in questo momento, ricordate con maggior nostalgia?

S. Devo forza citare almeno due concerti. Kings Of Leon a Milano nel 2017, la mia band preferita, e Bjork all’ Auditorium di Roma nel 2015, tra le artiste donne che amo di più. Andare ai concerti è tra i regali più belli che mi concedo spesso. C’è adrenalina, energia, carica, condivisione. E mi ricordano perchè poi alla fine vorrei vivere di questo.

A. Posso essere autoreferenziale più che mai? Io con tanta nostalgia ricordo i miei, di concerti. I nomi grossi fanno più rumore, nella paralisi del sistema. Ma noi emergenti, che siamo formichine impazzite e perse nella ricerca della giusta direzione, rischiamo di finire schiacciati sotto il piede del silenzio, e del tempo che passa.

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