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Andrea Poggio è il Doctor Who che non ci meritiamo, e questo è il suo FUTURO | Recensione

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Proprio oggi è uscito “Il futuro“, il nuovo e secondo album di Andrea Poggio, personaggio dell’underground milanese che vive di reminescenze di Battiato e synth invadenti, erede dei Devo e di quell’estetica dandy un po’ aliena che comprende completi colorati e meravigliosi ritmi simmetrici. Andrea Poggio torna dopo una lunga assenza, quasi silenziosamente, con un nuovo album che si dichiara antico e avanguardistico. Dieci tracce che sono in realtà un viaggio nel tempo a bordo del personalissimo Tardis di Andrea Poggio, probabilmente una macchina d’epoca incastrata sulla Brebemi: una visione cinico-ironica, una visita guidata nei centri commerciali, nelle attese al bar, nella frenesia, tipica milanese, uno schiaffo in faccia che ci mostra il Nuovo mondo.

Questo disco arriva durante un trasloco, l’ennesimo che mi costringe a spostarmi da una parte all’altra di questa Milano che non ho capito se mi piace veramente o se me la sto facendo piacere a forza, perchè sennò mi sentirei uno scemo a spendere tutti i miei soldi e tutti i miei sentimenti per una città che non mi ricambia. E questo disco mi sembra proprio stia raccontando questa cosa, questo ritrovarsi tra sconosciuti che si amano, questi amori perduti che camminano a ritmo di synth e tasti pizzicati nell’afa pomeridiana di Porta Venezia. Mi sono ritrovato qui a immaginarmi l’idroscalo come lo vedrebbe Andrea Poggio, Wes Anderson e Doctor Who. “Il futuro” è tutto così, un viaggio di colori pastello e sentimenti nascosti, come questa Milano che costringe a rimanere asettici, rigidi, in questo loop di strofa, ritornello, strofa, ritornello, anche se dentro esplodiamo.

Con la complicità di una scrittura suadente, sobriamente fascinosa, “Il futuro” quindi è un disco allo stesso tempo classico e moderno, antico e avanguardistico, in cui l’autore si diverte, quasi si compiace, a giocare coi generi e a mescolarli, come a creare un insolito ponte tra Paolo Conte e i Dirty Projectors, tra Franco Battiato e Chassol. Il vecchio e il nuovo, il classico e il moderno, il passato e il futuro. Ed è proprio sui binari di questa apparente dicotomia che si muove un disco al cui titolo sembra mancare un punto interrogativo finale. Questo disco è un’autobiografia musicale, che racconta tutti noi musico-fili frenetici, tra aperitivi, sguardi che non si sostengono e inevitabile ghosting. Ritrovarmi in questo futuro un po’ disastroso ma anche divertente e rassegnato, mi rassicura ed accompagna in questo disastro ironico-romantico che è Milano, e tutto ciò che vuole assomigliarci. Grazie Andrea Poggio, per aver reso questo trasloco meno traumatico, e il futuro un po’ più bello.

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