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Tigri ci racconta il suo primo album “Serenata Indiana”

Esce venerdì 10 dicembre 2021 in distribuzione The Orchard l’album di debutto di Tigri dal titolo “Serenata Indiana“. Un nuovo capitolo definitivo per il progetto indie-pop da Milano che vuole indagare sulle varie declinazioni dell’amore. Il titolo dell’album è rubato da una poesia di Eugenio Montale che parla della corrosione dei rapporti umani quando vengono insidiati da ciò che non ci conosce. analizza la relazione uomo-donna e la spersonalizzazione delle identità che sorge nei rapporti. 8 brani (+1 interludio strumentale) che ruotano attorno al tema dell’amore nelle sue svariate declinazioni: sacrale, casuale, illusorio, salvifico, distruttivo, totale. È il tentativo di emergere dal chiaroscuro che l’amore evoca e al tempo stesso il desiderio di abbracciarlo.

I brani spaziano dal cantautorato sperimentale all’indie pop, fra chitarre, drum machine e sintetizzatori, con l’obiettivo di riportare nei suoni l’eclettismo dei sentimenti descritti nei testi, perennemente in bilico tra la metafora barocca e la descrizione cruda di eventi e situazioni.

Non abbiamo saputo resistere, e gli abbiamo fatto qualche domanda.

Qual è il concept di “Serenata Indiana” e perché è un disco più attuale che mai? 

Ciao! Beh diciamo che “Serenata Indiana” nasce in primis da un’esigenza personale di annotare le sensazioni che ho provato in determinati momenti della mia vita. Tendo a scandagliare nel profondo tutto quello che mi succede, o che vedo succedere ad altri, ma per ovvie ragioni quando passa il tempo non ricordi bene cosa hai provato. Ecco, questo album è un piccolo compendio di ricordi, una raccolta di racconti se vuoi. Inoltre tutti questi racconti ruotano intorno ad un tema, ovvero quello delle relazioni umane e in particolare quelle amorose, di come ci formano e ci confondono al tempo stesso. Il titolo si rifà all’omonima poesia di Montale che tratta proprio questo argomento, ovvero l’estraniazione che un rapporto profondo con un’altra persona può generare in noi. Nel 2021 direi che sentirsi slegati dalle cose è una condizione costante per tutti, specie nelle relazioni.

Quando sei venuto a contatto con l’opera di Eugenio Montale? 

In realtà abbastanza giovane, al tempo delle scuole superiori. Ho avuto un colpo di fortuna direi, come sempre eravamo indietro nel programma di letteratura e ci è stato chiesto se avremmo preferito studiare i poeti dell’800 tipo Carducci, Pascoli e affini o se concentrarci sulle correnti del primo 900. Io ci vedo un fortissimo parallelo tra quello che provavano gli artisti a inizio 900 e quello che proviamo noi nel nuovo millennio: sentiamo che ci sono poche regole, ci sono pochi concetti o ideali a cui rifarci, se non l’edonismo da un lato e le insicurezze dall’altro. In generale trovo Montale fortissimo tout court, anche se non conosci il significato delle sue poesie, le parole sono belle e le immagini potenti.

 

Com’è andato il periodo della pandemia per te? Ritroviamo qualcosa di quel periodo in questo disco? 

Sarò sincero, non moltissimo. La maggior parte delle canzoni le ho scritte nel corso di una decade, dal 2010 al 2020, e ho cominciato a registrare proprio a cavallo tra 2019 e 2020. Ciononostante buona parte della produzione è avvenuta proprio in questo periodo, quindi per me le due cose saranno per sempre indissolubilmente legate tra loro.

Qual è la connessione tra i brani e la copertina del disco?

Volevo qualcosa di semplice. In generale questo è un album con tanti spunti musicali molto differenti tra loro seppur legati da un fil rouge, e cioè che descrivono me medesimo, quello che ho provato e che volevo raccontare. Alla fine la cosa che secondo me funzionava di più era mettere me stesso in copertina, come a dire: “hey questo sono io, sai a cosa vai incontro”.

E adesso? 

Chi può dirlo? Ovviamente suonare dal vivo è la priorità, compatibilmente con il momento storico che stiamo vivendo in cui il motore della macchina live è ancora un po’ freddo. E poi vorrei registrare ancora nuove canzoni, pubblicare questo disco mi ha aiutato a “sbloccare” un po’ di cose in me che non riuscivo a sintetizzare, e a dare nuova linfa alla mia creatività. 

 

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