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“Suzu è un mostro inventato dall’uomo prima di Dio”. Rieccoli, gli ELETTRONOIR

Chi sono gli Elettronoir? Un suono sospeso tra Morricone e Cure, Warp e Labrador. Gli anni ‘70 delle pellicole italiane e gli anni ‘80 della New Wave. Avanguardia e melodia. Pianoforte, Voce Maschile. Chitarra Basso. Elettronica, Campionamenti. Voce Femminile. Storie d’Italia degli anni 70, rosse come il sangue e nere come il piombo. Una colonna sonora per film già scritti, diretti, interpretati.
Mi perdonerà l’autore, ma non ho trovato parole migliori di quelle che campeggiano in bio sul sito della band per inquadrare al meglio un gruppo dallo stile inconfondibile e come si dirà poi, coerente, che resta tale nonostante le pur diverse declinazioni con cui viene messo giù nei loro tanti lavori.

Marco Pantosti (voce, pianoforte ed organo) e Georgia Colloridi (voce femminile) sono lo zoccolo duro di una formazione in continua mutazione che come detto, mantiene sempre il suo carattere distintivo intatto. Una nave pirata, come ce l’ha definita proprio Marco, anima principale degli Elettronoir, autore di musiche e testi nonché fondatore.

Una genesi realizzata in circostanze emotive critiche, come del resto la gran parte dell’arte che più arriva al cuore:
<<Gli -ELETTRONOIR- nascono dopo la fine di una storia d’amore importante. E’ il novembre del 2004, scappo da Roma disperato con in tasca duecento euro e 5 canzoni. Vado nella casa vuota dei miei nonni ad Abbadia di Montepulciano e chiamo un tipo dicendogli: “Piango da una settimana, ho 5 canzoni, una Gem W20 e voglio registrare una demo, mi servi te ed un pianoforte”. Mi portò a Palazzo Ricci a Montepulciano, all’epoca sede della filarmonica di Manchester ed ora di una filarmonica tedesca. Aveva le chiavi di tutte le porte. Mi porta davanti ad un piano a coda e mi chiede di provarlo. Lo suono, mi sciolgo, si registra e via. Quella demo la titolai “Tutta Colpa Vostra“, quello che sarebbe diventato poi il titolo della Trilogia su Napoli tra il 77 e l’82.
E sai che canzone registrai per prima? Solea, il brano che chiude tutta la vicenda narrata nei tre dischi. E quello che si sente nella pubblicazione del 2014 è la registrazione di 10 anni prima, una vertigine che chiuse il cerchio>>.

-ELETTRONOIR- crebbe poi in case di studenti, in stanze affittate, mezze comuni, studi di registrazione con i letti accanto…
<<Robe di punk fuori tempo massimo insomma – racconta Marco – ed oggi dico che è davvero una nave pirata. Si sono alternate persone, musicisti, attori, registi, ecc. Sempre aperti e connessi ad ogni esperienza>>.

E chi sono gli –ELETTRONOIR- oggi?
<<Posso rispondere che il disco che uscirà in autunno è stato creato da me, Maurizio (il produttore artistico nonché co-autore delle musiche) e Georgia. E non è la formazione del precedente, che a sua volta fu diversa da quella prima e così via a ritroso. Questo traffico di persone ed anime in questi anni ci ha insegnato il senso profondo delle parole stile e coerenza, che declinate alla musica, possono aprire mondi sempre più vasti, differenti, checché se ne pensi. Siamo una nave pirata con il suo viaggio, indipendentemente da chi issi le vele, stringa il timone o versi il vino nelle coppe di legno>>.

Un viaggio iniziato da lontano quindi, ma che ancora rifiuta di definire la sua destinazione ultima.
<<Quando decidemmo che era tempo di dire qualcosa di nuovo, decidemmo anche che il nuovo disco doveva essere diverso da tutto ciò che avevamo fatto prima (e credimi, ne avevamo fatte tante…).
Ho cercato uno studio con un pianoforte a coda “impreciso”, uno di quelli che difficilmente sentiresti dentro un disco mainstream, volevo il calore di vecchie meccaniche capaci di armonie uniche. E mi ritrovo in Cilento, dentro uno studio su una montagna vista mare, con le dita su un Blutner del 1954. Il suono era quello che volevo! Da lì poi introducemmo musica ambientale, rumori e suoni di guerra da mettere a loop, a contrasto, come base. Via il Pop! Nel momento in cui tutti scoprivano e facevano Pop, e dentro il Noise, nel suo significato più alto>>.

Un cambiamento che si è presentato a Marco e Geo anche in carne ed ossa oltre che nelle idee, sotto le sembianze di Maurizio Sarnicola
<<Maurizio arrivò per caso su segnalazione di un’amica comune. All’inizio ci seguì quasi accudendoci, studiandoci da vicino, poi partì per una tangente così “esatta” che lo lasciammo libero di diventare appieno il nuovo -ELETTRONOIR-, l’elemento innovativo di questa fase. Lui accetta di diventare “il punto di rottura” e mischia tutte le carte. Un lavoro esplosivo e folgorante, una sorpresa assoluta>>.

L’espressione di questa nuova fase è SUZU, 5° disco in studio degli –ELETTRONOIR- (in uscita in autunno con Goldmine Records), anticipato dal singolo Resonance (proposta nella sezione “ultimo ascolto” del nostro sito). Pubblicata ad agosto con il video rilasciato su YouTube che inizia con una frase: “Resonance: dal francese, suono o rumore a seconda delle circostanze”.
Ed in effetti tutto il video “gioca” su una contrapposizione forte tra scenari di guerra ed immagini di un mondo occidentale patinato (l’ispirazione è un articolo sul bombardamento dello Zoo di Aleppo ed il suo unico sopravvissuto, un babbuino, ritratto dall’obiettivo fotografico spaesato e completamente avulso dal contesto devastato in cui è si immerso, ma di cui non può comprendere le dinamiche, così lontane dal suo modo di esistere).

La percezione della realtà quindi, come chiave di lettura del nostro tempo, diventa una questione di Resonance
<<Resonance – spiega Marco – è la canzone manifesto dell’album. È la parola riportata sotto la manopola del pathos dei suoni dei sinth. Apre e chiude un corpo sonoro. È un diaframma di sensibilità. Significa quanto sei disposto a voler percepire qualcosa, qualunque cosa, dall’esterno. Quanto vuoi esserne partecipe. Fino a che punto vuoi farti attraversare.
Si parte da un suono lieve, chiaro, pulito come l’immagine che hai accanto del tuo amico che fa il sub o di chi corre una gara podistica, e man mano che si gira il comando, il suono diventa più complesso e carico. Ecco allora un cambio di prospettiva, di visione in visione, in profondità, su piani distanti ma allineati, per arrivare ad Aleppo fra le macerie, poi sul Mediterraneo fra gente stremata, in fuga nel deserto o nello Zoo bombardato, partendo dal punto di vista della tua miseria riprodotta sullo schermo dello smartphone in modalità selfie…
Il nostro tempo accade, da sempre, ora e qui, in ogni istante ma su esperienze opposte. Quindi, “suono o rumore a seconda delle circostanze”. Una questione di Resonance diventa quindi una questione di sensibilità, curiosità, passione, aperture>>.

Un album destinato a rivelarsi quindi, pur nella prosecuzione del viaggio, una deviazione decisa di rotta.
<<Suzu è il disco che non ti aspetti. E ne siamo orgogliosi. Potrà piacere o no, ma ha un corpo davvero interessante, il suo racconto è forte. È un concept che tratta il tema della disumanizzazione.
Suzu è un mostro. Un mostro inventato dall’uomo, ancor prima che l’uomo inventasse Dio>>.

Del resto, come si era detto in apertura, se mantieni uno stile così riconoscibile pur nelle sue diverse declinazioni, una coerenza artistica tanto marcata, puoi affrontare i cambiamenti di rotta, per quanto decisi, con la sicurezza di chi da sempre si esprime a modo suo.
Anche quest’album come i precedenti è autoprodotto. Anche questo, non accetta compromessi ed ammiccamenti ad una scena che ormai sempre di più e sempre più spesso, confonde e diluisce il concetto di indipedenza.

Indipendenza, intellettuale in primo luogo, che per gli –ELETTRONOIR- è più che una bandiera.
<<Diciamo che siamo cani sciolti e lo siamo sempre stati. È la nostra indole e ci autoproduciamo perché non deve mica venire un art director a dirci se, come e quando possiamo esprimerci. Poi non ce la siamo nemmeno dovuta cercare la nostra indipendenza: mi ricordo che l’idea di fare il primo disco nacque in birreria. Lo producemmo in tre mesi. Roba da trincea.
Lo vendevamo on line (ed è così che lo comprò chi scrive questo articolo, probabilmente tramite quel “diamante grezzo” che era MySpace, roba di albori dei social network, ndr), ai concerti e lo inviavamo ai giornali per le recensioni. E sai che successe? Che al MEI, dopo pochi mesi, arrivammo terzi come miglior disco d’esordio dell’anno. L’unica autoproduzione tra etichette indie e main, noi, terzi. Il disco era “Dal Fronte Dei Colpevoli” e ce lo ordinano ancora dopo più di 10 anni. Il nostro successo si chiama “esistere” e “resistere”. Veicolare messaggi e visioni, nudi, chiari, lineari: “L’urgenza del Punk senza la necessità di suonare Punk”.
Ed alla fine ci siamo ritrovati trasversali all’indie e al mainstream: pubblicità per Nissan, Ubi Banca, Blue Marine, il palco di Imola, il Premio De Andrè… E poi suoni Pasolini o sonorizzi Tarkoskij davanti a 5 persone in cantine/locali di frontiera. È così, è la nostra storia…>>.

Una storia che da Roma alla provincia toscana, da MySpace ad Aleppo passando per il MEI e le cantine, meritava di essere raccontata, anche se non sarà stata la prima volta e con la speranza, anzi la sicurezza, che non sarà l’ultima. Perché una nave pirata prosegue il suo viaggio, indipendentemente da chi issi le vele, stringa il timone o versi il vino nelle coppe di legno.

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