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TGP incontra “Plutone Non è Blu”: Una Nuova Dimensione tra Folk e Synth Pop. Leggi l’intervista

Il viaggio è una metafora.

Intervista a cura di Giorgia Groccia

 

Fuori su tutte le piattaforme digitali Lontano da Casa, Sostare Solo, l’album d’esordio della band tarantina Plutone Non è Blu

Il viaggio è una metafora. Tre ragazzi partono per allontanarsi da se stessi, dagli schemi preconfezionati, da ciò che la quotidianità offre, concedendosi così nuovi orizzonti di pensiero e nuove persone da scoprire. I legami creati, destinati a sciogliersi, determineranno un cambiamento indissolubile: il punto di non ritorno da cui trarre il senso del proprio desiderio di ricostruzione personale.

I tre continuano a viaggiare, a vivere delle storie intense, continuano a cercare se stessi, tanto da volerci scrivere delle canzoni, ed è proprio così che, ad un certo punto, decidono di inciderle e di pubblicarle in un unico album.

Un mix ben congegnato tra folk, cantautorato classico, chitarre acustiche, percussioni accompagnate da chitarra elettrica e synth leggeri, il tutto condito da splendidi cori e sax.

La peculiarità dei Plutone Non è Blu è aver creato un non-genere personalissimo, un qualcosa di non associabile ad altro e, proprio per questo, unico nel suo genere, una formula vincente.

Noi di TGP abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con loro in concomitanza con l’uscita del debut album, eccone il risultato:

Raccontateci com’è nato l’intro “Sottobicchieri vintage”, come mai è totalmente parlato? Quali sono i retroscena rispetto alla breve descrizione dettagliata che ritroviamo in questa traccia?

Sottobicchieri Vintage nasce quasi un anno fa semplicemente scrivendo le prime cose che mi venivano in mente, una sorta di flusso di coscienza. Il pezzo non parla di me, ma le persone e i luoghi raccontati possiamo dire che sono reali. La scelta del parlato è perché è un pezzo assolutamente disimpegnato, vuole far sorridere.

Se doveste scegliere una traccia dell’album che rispecchia totalmente la vostra poetica quale sarebbe e perché?

Una Seconda Volta è la traccia dell’album che ci rispecchia di più. Il pezzo apparentemente fresco e immediato, in realtà racchiude la paura di poterci innamorare, appunto, per una seconda volta.

Quali sono i tre album che vi hanno cambiato la vita e perché?

Dark Side of the Moon dei Pink Floyd , Bon Iver di Bon Iver e Le Nuvole di Fabrizio De André. De André è legato alla nostra infanzia, i Pink Floyd perché ricordano i primi ascolti consapevoli, Bon Iver invece è legato molto al nostro pezzo Torino, una scoperta più “matura“.

 

Quali sono i vostri retaggi artistici oltre la musica?

Nessun altro retaggio artistico. Quando non suoniamo, purtroppo, siamo dei normalissimi studenti universitari.

Come mai avete scelto, in un periodo storico caratterizzato dal synth pop, delle sonorità piacevolmente acustiche?

Il nostro album non è solo acustico, il pezzo che chiude l’album è in realtà molto synth pop.  Ma in generale, sì, abbiamo mantenuto delle sonorità prevalentemente acustiche perché essenzialmente ci piace e vogliamo suonare. Bisogna sperimentare, cercare nuovi errori. Stiamo creando il nostro modo di comunicare alle persone .

 

 

Come avviene la composizione dei vostri brani? Nasce prima il testo, l’armonia o la melodia?

Non c’è una regola. Molto dipende anche da cosa ascoltiamo in determinati periodi, perché è ovvio che ciò scriviamo è anche influenzato da ciò che ci circonda e da ciò che viviamo. Quindi può capitare di partire prima dalle parole e poi quindi costruirci sopra un giro armonico.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Il nostro futuro dipende da voi, altrimenti torniamo a suonare in spiaggia a Ferragosto.

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