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Lilith Festival 2025: la voce plurale della musica d’autrice

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Arrivato alla XIV edizione, il Lilith Festival della Musica d’Autrice si conferma come una delle realtà più vivaci, coerenti e sorprendenti del panorama musicale italiano. Nato a Genova con l’obiettivo dichiarato di dare spazio e visibilità alle autrici – musiciste, performer, artiste – che troppo spesso restano ai margini della scena nazionale, Lilith è oggi molto più di un festival: è una piattaforma culturale, un laboratorio di visioni e un motore di comunità.

L’edizione 2025 si preannuncia tra le più ricche e stratificate di sempre: dal 24 luglio al 1° agosto, a Villa Durazzo-Bombrini a Cornigliano il festival offrirà spettacoli, concerti, momenti performativi e occasioni di incontro che abbracciano linguaggi e sensibilità differenti. Sul palco, nomi noti come Angela Baraldi, Beatrice Antolini, Giulia Mei, Elli De Mon e le internazionali CocoRosie, accanto a proposte emergenti e sorprendenti come Francamente, Leyla El Abiri, Emilya Ndme, MARE, La Noce e Samu L.

Dietro a questa visione ampia e consapevole c’è un gruppo di organizzatrici che, con passione e lucidità, porta avanti un progetto in cui qualità artistica, attenzione sociale e rigore curatoriale si intrecciano con naturalezza. Le abbiamo intervistate per capire meglio com’è nata questa edizione, quali sfide ha comportato, cosa rappresenta oggi la “musica d’autrice” e come si costruisce, anno dopo anno, un festival che mette al centro la libertà creativa.

Il Lilith Festival è giunto alla quattordicesima edizione: in che modo si è evoluta la manifestazione rispetto agli inizi?

Il primo proposito del Lilith Festival della Musica d’Autrice è stato quello di evidenziare e nel possibile contribuire a colmare un gap di genere che esisteva e ancora esiste nel mondo della musica. Quando abbiamo cominciato, nel 2011, siamo partite da una manifestazione nata dal bisogno di farci forza l’una con l’altra e le prime edizioni le abbiamo messe su con tanta buona volontà ma pochissimi mezzi. A Genova, dove è nato tutto, eravamo già un manipolo di cantautrici piuttosto nutrito, poi tramite piattaforme come MySpace, eventi come Onda Rosa al MEI o collaborazioni con realtà di altre città abbiamo conosciuto altre colleghe piene di talento, ma i cartelloni dei festival, delle rassegne, delle stagioni nei club non rispondevamo a questo maggiore protagonismo delle donne. Man mano abbiamo provato a coinvolgere artiste che erano già un riferimento e il Festival è cresciuto, questo ci ha permesso anche di attrarre qualche risorsa – sempre sudatissima – per farne una manifestazione più grande. Non ci è mai interessato fare delle riserve per sole donne, come fossimo delle bestie strane, ma dare spazio e visibilità altrove negati alle artiste. Del resto oltre alle serate di canzone e musica d’autrice, organizziamo eventi che danno spazio in generale a talenti che crediamo meritino di essere conosciuti e valorizzati.

La proposta artistica è molto eterogenea: rock, elettronica, sperimentazione, canzone d’autore. Come riuscite a mantenere una coerenza interna nel festival?

Ci interessa chi ha qualcosa da dire a livello autorale e musicale e persegue in maniera onesta un percorso creativo che non è detto sia sempre nel solco del mainstream. Anche e soprattutto nel caso della canzone fatta da artiste donne, siamo contente di mostrare che finalmente c’è una maggiore varietà di stili e di scrittura. Non esiste una musica “al femminile”, esistono artiste che hanno bisogno di essere sostenute perché se è vero che oggi è apparentemente più facile per una donna intraprendere un percorso artistico, resta facile perdersi per strada. In questi tempi, poi, nulla è scontato per quanto riguarda i diritti: c’è molto da consolidare e forse anche qualcosa da riconquistare…

Alcuni nomi in cartellone sono esordienti o poco noti al grande pubblico, ma con proposte molto solide, come Mare o La Noce. Quanto è importante per voi il “rischio” di proporre voci nuove?

Importantissimo. Per noi resta fermo l’intento di dare visibilità alle artiste emergenti, crediamo che fare loro condividere il palco con headliner più conosciute non sia tanto una questione di prestigio quanto un rafforzamento reciproco, oltre che un segnale positivo e incoraggiante anche per altre che vogliano intraprendere un percorso artistico.

Villa Durazzo-Bombrini è il cuore del festival: quanto conta il luogo per costruire una relazione viva con il pubblico e le artiste?  Ci sono state difficoltà o sorprese nell’organizzare una rassegna così articolata in uno spazio storico?

Non è casuale il fatto che da diversi anni il cuore della manifestazione si tenga in questa villa molto bella ma forse ancora poco conosciuta del Ponente genovese. Ci troviamo in una zona che seppure vicina al centro e facilmente raggiungibile è già considerata periferia, un posto in cui tutt’intorno si respira il recente passato industriale e operaio di Genova, e allo stesso tempo si nascondono  gioielli architettonici come questi, con parchi annessi che in estate sono quasi delle oasi, che hanno bisogno di essere tutelati ma anche restituiti alla popolazione e vissuti. Noi siamo contente di osservare e fare osservare le attenzioni dovute a uno spazio del genere, che strega anche chi viene a performare. Ringraziamo Società Per Cornigliano che se ne occupa e che sostiene e accoglie manifestazioni come la nostra.

Guardando al futuro: cosa immaginiamo per Lilith 2026?

Ironicamente potremmo rispondere come rispondiamo dall’inizio di questa lunga avventura: speriamo che ci sia sempre meno bisogno di manifestazioni come la nostra e poter dedicarci di più agli altri nostri progetti di arte e di vita, comprese le produzioni – Lilith dal 2018 è anche etichetta musicale -. Ma probabilmente ce ne sarà ancora bisogno e poi, diciamo la verità, ci abbiamo preso gusto, anche se ci piacerebbe potere passare la direzione a energie più giovani. Prossimo obiettivo comunque è quello di organizzare edizioni più sostenibili dal punto di vista ambientale, cosa non facile ma necessaria. Come tutte le grandi imprese.

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