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Quando ho incontrato TGP: Leonus

Il cosmonauta approda su TGP.

Intervista a cura di Giorgia Groccia

Leonus è un cosmonauta, un pellegrino dello spazio che viaggia senza meta”, così si definisce il giovanissimo artista, al secolo Leonardo Russotto, fuori dal 29 novembre con il suo ultimo singolo Encelado. La sua musica affonda le radici nel cantautorato ma trova la sua massima espressione nelle nuove sonorità Indie-Trap. Proprio con la scoperta di questo grande universo della musica elettronica comincia l’avventura di Leonus.

Ormai giunto al terzo singolo estratto dall’ep in uscita nei prossimi mesi, l’artista esprime con piglio scanzonato ma non privo di nostalgia e risentimento, un rapporto oramai agli sgoccioli, logoro e “congelato” proprio come cita il brano, caratterizzato da sonorità moderne e un retrogusto internazionale. L’incomunicabilità, masticata e rigettata su carta, prende forma su due binari paralleli: la sagace ironia che caratterizza il cautautore in ogni suo brano e l’irreversibile velo malinconico che riveste dall’interno il cuore pulsante del testo.

 

 

Leonus è un poli-strumentista che predilige la ricerca e la sperimentazione in ogni sua forma: la voce modellata con il tune fa il verso alla nuova scuola di giovani trapper, l’utilizzo di suoni elettronici congeniali crea un mix agrodolce di sonorità fresche e pungenti.

 

Noi abbiamo incontrato Leonus, eccone il risultato:

Encelado è il tuo ultimo singolo: ci racconti la genesi del brano, come e quando è nato?

Encelado è nata esattamente un anno fa, nel freddo stereotipato del nord, tra Italia e Svizzera. Il pretesto era chiaramente un amore andato male, un prolungarsi di sofferenze che avevano bisogno di un “freeze” definitivo, di un punto fermo. E’ una canzone in cui i ricordi dai colori caldi, giallo-rossi come Roma, si mescolano alle tonalità bluastre e violacee di una fredda solitudine. La passione per lo spazio, che mi accompagna ormai dall’inizio di questo progetto, mi ha spinto a trovare un paragone con un satellite di Saturno, Encelado, una palla di ghiaccio che ha probabilmente un nucleo caldo, come un tortino al cioccolato…

A parte le battute, è così che mi sentivo: gelido fuori, ma col tepore ancora nel cuore. Dopo un anno di lavorazione in cui ha cambiato aspetto più volte, ha subito ampliamenti e modifiche di ogni sorta, è finalmente uscita dal congelatore, e ora vorrà forse volare via verso quel satellite glaciale, nella speranza che qualcuno durante il tragitto la ascolti e la tenga al caldo…

 

 

La prod è curata nei dettagli, decisamente interessante e particolareggiata; come si svolge la scelta dei tuoi arrangiamenti?

Questa è la prima produzione che faccio con Roberto Demartis, un produttore fortissimo che, oltre ad essere un mio amico, ha collaborato con artisti nostrani come Morgan, i Subsonica e i Planet Funk e ha lavorato a progetti di respiro internazionale come Wallaby.

Il suo modo di lavorare mi colpì subito. La sua attenzione maniacale all’estetica dei suoni, la sua cura dei dettagli e la bellezza formale dei suoi missaggi mi convinsero che solo lui avrebbe potuto seguirmi in questa follia.

Un giorno gli feci ascoltare una mia pre-produzione al computer di Encelado e lui ne rimase entusiasta, dicendomi che avrebbe voluto aiutarmi a darle quel quid sonoro in più per farle spiccare il volo. Il risultato non avrebbe potuto essere più soddisfacente per il mio palato, un compromesso perfetto tra le mie radici musicali e la contemporaneità.

 

Quali sono i tuoi punti cardine nella musica e perché?

Il mio gusto musicale non ha punti cardine per definizione. Mi lascio sedurre dalle più diverse sonorità senza fare particolare attenzione al genere o agli steccati che nel corso dei decenni sono stati costruiti per catalogare la musica. Sicuramente le mie radici musicali affondano nel cantautorato e nel jazz, che hanno costituito la colonna sonora della mia adolescenza, ma si è contaminata nel tempo di funk, disco, rock, psichedelia, hip hop, fino a varcare, sebbene in età più matura, le soglie della trap. Proprio  il dualismo tra trap e indie (più vicino alle mie corde cantautorali) ha realizzato le fondamenta per tirare su questo progetto che ormai porto in giro da più di un anno. Indubbiamente tanto devo ad alcuni artisti, che sono stati come monumenti nella mia mente. Uno su tutti: Lucio Dalla, di cui sono forse uno dei massimi fan e conoscitori!

 

 

Questo brano parla d’amore in termini ironici ma con un fondo di malinconia evidente: ci racconti cos’è l’amore per te o come vorresti che fosse?

Domanda troppo difficile. In questo momento non lo so più cos’è l’amore, prima credevo di saperlo. Ogni volta che ci siamo dentro crediamo di conoscerlo, di poterne indagare ogni aspetto, ci sentiamo superbamente onniscienti. Penso che non ci sia niente di più gratificante e portatore di autostima di essere amati. Ricordo alla perfezione la sensazione di superomismo che ti arriva quando sei nel culmine dell’amore, ti senti fortissimo e pieno di energie, come con la droga. Ecco forse la droga è il paragone più vicino che possa concepire.

Poi quando l’amore ti sfugge dalle mani ti crolla tutto. La bellissima impalcatura che ti teneva eretto si frantuma, e tu cadi. Cominci a perdere le tue sicurezze, la tua fantastica autostima e il dubbio prende il sopravvento. Per riuscire a superare tutto questo ho trovato una via d’uscita nella musica e nell’ironia che rappresentano la linfa vitale nei momenti tristi e freddi, le stufette da piedi che ti permettono di non congelare.

Man mano che passa il tempo ritrovi un equilibrio, poi arriva qualcun’altro e tutto ricomincia, in un circolo di vizio e virtù apparentemente senza fine.

Ne vale veramente la pena? Ovviamente sì.

L’alternativa è ibernarsi in una cella frigorifera nell’attesa che qualcuno “dopo qualche millennio” ti scongeli…

 

 

Chi è Leonus rispetto a Leonardo?

In realtà non c’è una grande differenza. Potrebbe essere la crasi del mio nome e del mio cognome, l’inizio del mio nome con l’aggiunta di un suffisso -us latineggiante, o forse un nome alieno da fumetto. Forse Leonus è solo chi vorrei essere, lui può viaggiare nello spazio e andare istantaneamente dove vuole, e quando torna mi racconta cosa ha visto. Io potrei essere il suo cronista, che racconta le sue avventure e le mette in musica, ma siamo sempre in contatto, è difficile che ci si separi o si perdano le tracce. Ultimamente mi ha confessato che però è un po’ stanco di andarsene in giro per stelle e pianeti, vorrebbe mettere i piedi un po’ più per terra…

 

Progetti futuri?

La domanda è stata già in parte spoilerata nella precedente! Per ora vorrei completare il mio concept EP spaziale per dare una casa a tutte queste canzoni che adesso sono un po’ sparse qua e là. Nel 2020 sicuramente le cose cambieranno parecchio, ho già in mente un bel po’ di idee, ma come dice il prof. Oak nei videogiochi dei Pokemon “C’è un luogo e un momento per ogni cosa! Ma non ora”.

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