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La solitudine allegra di Cordio nel suo meraviglioso album “Cose che si dicono”

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Ci sono dei dischi che alla fine parlano di un periodo ben specifico della mia vita. Perchè se ci penso, non c’è un disco più rappresentativo del mio primo amore su quel lurido banco di scuola del liceo Manzoni a Milano, che non sia Requiem dei Verdena, e non c’è niente che mi ricorderà meglio quell’anno in cui sono stato disoccupato di Bellissima Noia di Nicolò Carnesi, e niente mi ricorderà di più di questa solitudine imperante che fa parte di me da troppo tempo, di questo Cose che si dicono, il nuovo album di Cordio. Perchè qui a Milano si è soli, tantissimo, ma alla fine sfrecciamo in bicicletta con il vento che ci taglia le guance, e ridiamo del caffè che aumenta ad un euro e venti di alcuni bar decadenti di Brera, andiamo ai concerti, andiamo a ballare, e poi non c’è mai nessuna che voglia amarmi abbastanza da farmi una telefonata, dicendo che mi sta pensando. Almeno un po’.

In questo disco c’è questo mood sospeso, a metà tra la catastrofe sentimentale, e quei balli trascinanti che ho fatto nei locali, fingendo di non vedere quella stronza della mia ex, che ballava con qualcun altro. E io ho perso la mia Mezza Mela, e anche io mi son trovato a dire che sì, lei non si sarebbe potuta innamorare di qualcuno che non sono io. Complice la produzione di Lorenzo Vizzini, un siciliano che si porta dietro anche un po’ di Sud America e quei ritmi estivi che non sopportiamo ma che adesso, che a Milano fa freddo e non possiamo accendere i riscaldamenti per colpa di una guerra lontana, rimpiangiamo. Qui si balla sulle rotture, sulle relazioni che ci facevano stare bene e adesso ci fanno affondare, si balla anche sei lei è andata in Nord Europa.

Sono single, abbastanza povero da vivere in un monolocale ma non così tanto da non vivere a Milano, non mi compro un maglione nuovo da almeno due anni, mi manca lei ma non la cerco più, aspetto una telefonata sincera da troppo tempo, e questo disco parla proprio di me.

CM

 

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