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La Maschera: Roberto Colella e Vincenzo Capasso raccontano il loro disco “ParcoSofia”

Leggi ora l’intervista a Roberto Colella e Vincenzo Capasso de “La Maschera”

Dopo aver partecipato alla presentazione del loro nuovo album “ParcoSofia”, in uscita oggi per Full Heads, noi di TuttigiùParterre abbiamo la fortuna di scambiare quattro chiacchiere con Roberto Colella e Vincenzo Capasso, rispettivamente frontman e trombettista della band indipendente napoletana “La Maschera”.

 

Ciao ragazzi, parto subito dal vostro ultimo lavoro: che cosa rappresenta per voi “ParcoSofia”? Quale significato si cela dietro questo titolo? 

Roberto: “ParcoSofia” è un ecosistema in cui abbiamo scelto di far convivere le storie che si raccontano nel disco ed ha sia una valenza immaginaria, poichè è un mondo che non esiste sotto certi aspetti, un po’ come “’O vicolo ‘e l’alleria”, dove i valori sono esaltati, resi talvolta anche irreali, ma anche una valenza reale, infatti rappresenta quasi un elogio alle radici, cioè il parco in cui sono cresciuto a Villaricca, un posto particolare dove non ci sono questi grandi valori che si raccontano, però c’è una grandissima dignità nell’affrontare la quotidianità della vita. Inoltre, come per “Maschera” l’etimologia indica persona, per “ParcoSofia” l’etimologia greca e latina indica “moderarsi in sapienza” e questo sembra quasi una sorta di consiglio, in un’epoca in cui tutti eccedono in sapienza.

 

In questo album viene messa ancor più in evidenza la contaminazione stilistica, in particolar modo con i sound africani. Raccontateci l’incontro umano ed artistico con il musicista senegalese Laye Ba.

Vincenzo: In pratica stavamo suonando per il concerto organizzato da Daniele Sepe per sostenere gli operai in cassa integrazione ed a fine esibizione si è avvicinato Laye Ba da fan, chiedendo informazioni sul gruppo, sulla  nostra musica, dicendo: “La vostra musica mi ricorda la musica africana”. Roberto si domandò come fosse possibile che brani come “Pullecenella e “La Confessione” gli ricordassero l’Africa. Quando andammo in Senegal ed ascoltammo la musica tipica del luogo, esclamammo: “Questo pezzo sembra di Pino Daniele…”. Quindi percepimmo la somiglianza ed il parallelismo con la musica napoletana. Poi ci invitò a casa sua e lì nacque tutto in maniera totalmente spontanea, infatti Roberto stava strimpellando come sempre con la chitarra ed iniziò a suonare un arpeggio, Laye Ba cominciò a cantarci sopra e nacque così la canzone.

 

Il disco è impreziosito dalla presenza di ospiti speciali, Claudio “Gnut” Domestico, tra l’altro anche produttore artistico, Daniele Sepe e Dario Sansone su tutti. Come sono nate tali collaborazioni?

Roberto: Sono nate principalmente da un rapporto umano, infatti non si è cercata la collaborazione commerciale, ovvero quella che avrebbe potuto aprirci determinate porte, ma si tratta di persone a cui vogliamo bene, perché veramente tutto è nato da una tavolata a cena con amici. Dario è la persona che conosco da più tempo, con Claudio e Daniele è nato tutto in una trattoria del centro storico…siamo amici prima ancora che colleghi e da quest’amicizia è nata la voglia di condividere le doti artistiche di ognuno. Daniele Sepe è uno dei più grandi musicisti che ci sono a Napoli ed è stato preziosissimo per il disco perché ha dato un contributo sostanziale, Claudio è stata una figura fondamentale, quello che ha messo un po’ ordine alle idee.

 

Nell’album sono contenuti elementi di folk, rock e musica popolare. Quali artisti vi hanno maggiormente influenzato durante la composizione dei testi e delle musiche?

Roberto: Dei testi non te lo so dire perché in realtà non so come succede, nel senso che capita e non so spiegarlo realmente, cioè non mi capita di pensare a qualcuno, invece per quanto riguarda le musiche succede inconsciamente, infatti l’inconscio si nutre di artisti che ascolti, quindi sicuramente c’è l’influenza di Paul Simon, che è un artista che amo da impazzire, così come Tom Waits. Credo sia anche giusto far tesoro delle cose che si ascoltano secondo me. Uno degli ultimi ascolti che facemmo fu un pezzo meraviglioso dei Beach Boys. In generale sono tante le influenze musicali, mi piacciono tantissimo alcuni artisti blues del Mali e del Senegal come Farka Tourè, Salif Keita, Baaba Maal. Avvicinarmi a Laye Ba mi ha permesso di incuriosirmi verso il mondo africano e quindi mi sono messo un po’ alla ricerca. Oggi è molto semplice accedere a banche dati enormi, ad esempio su Rai5 trasmettono un documentario  stupendo di Martin Scorsese sul blues. Poi amo moltissimo la musica sudamericana, in particolare quella argentina, anche se probabilmente non ci sono queste atmosfere nel disco, ma magari in futuro…

 

Molteplici sono le tematiche affrontate nel disco, dalla libertà all’amore, senza mai abbandonare la questione sociale. Ma qual è il messaggio che volete trasmettere attraverso queste undici tracce che lo compongono?

Roberto: Non saprei…è complicato. A volte mi piacerebbe puntare l’attenzione sul fatto che forse una cosa è veramente importante nella vita: provare ad essere felici, fregarsene delle infrastrutture di quella che è la società moderna e mi piacerebbe che questa cosa trasparisse dalla musica. Oggi i significati delle canzoni, oppure il messaggio che viene veicolato attraverso una canzone lo fa il pubblico, è la gente che riesce a prendere il significato di una canzone.

Vincenzo: Infatti sarebbe curioso sapere dall’altro lato la gente che ne pensa, cosa arriva alle persone. Questa domanda la faremo ai concerti.

 

Il nome del gruppo è un evidente richiamo alla tradizione partenopea ed anche il dialetto napoletano dei testi sottolinea il forte legame con la città. Qual è il vostro rapporto con Napoli?

Roberto: E’ un rapporto molto stretto, che a volte è di amore e di odio, ma ultimamente è più d’amore. Io credo fortemente nelle potenzialità di questa città e anche nei suoi abitanti. Purtroppo Napoli è stata rovinata da alcune generazioni un po’ particolari, anche se adesso mi sembra di vedere una rinascita, sto vivendo un periodo che forse un giorno potrà essere ricordato come la rivoluzione silenziosa di Napoli, perché ci sono vari personaggi che la stanno facendo in maniera silenziosa e ci stanno riuscendo senza essere spalleggiati né ricevere alcun favore: questa è un po’ la soddisfazione di questo momento storico ed è questo che me la fa amare in un modo più profondo. Ad esempio c’è Salvatore Iodice che sta rivoluzionando i Quartieri, oppure l’associazione “Sii turista della tua città” e poi tanti altri ragazzi che stanno lavorando ad altri progetti come “Adda passà ‘a nuttata”. I centri sociali, come lo Scugnizzo Liberato e l’Ex-Opg, ti offrono servizi che dovrebbe offrirti il comune, infatti attualmente costituiscono anche le migliori location per i live, poiché di location vere e proprie non esistono.

 

L’attuale scena musicale napoletana sta vivendo un periodo particolarmente florido: i vostri concerti, così come quelli dei Foja, oppure di Tommaso Primo, stanno ottenendo ottimi riscontri di pubblico. Secondo voi è in atto un cambiamento?

Roberto: Credo che ci siano davvero tanti fenomeni musicali, molte offerte musicali per ogni genere: anche nell’hard rock e nel metal si trovano realtà a Napoli che, per quanto possano essere semi-sconosciute, riescono comunque a lavorare con una certa qualità. Questo è un altro dei motivi per cui mi piace assai Napoli in questo periodo: c’è una fioritura musicale che non si basa più sullo scontro ma sull’incontro, ovvero un tempo ognuno voleva prevalere sull’altro, invece adesso il tutto si basa sulla collaborazione atta a costruire, infatti quel che rimane della scena musicale passata equivale a poco o niente.

 

Sarete impegnati tutto il mese di novembre con la presentazione del disco, ma avete già annunciato che il 23 dicembre sarete in concerto all’Arenile. Ci svelate in anteprima qualche altra data?

Roberto: Assolutamente seguirà un tour a livello nazionale che durerà almeno fino a febbraio, ma sveleremo un poco alla volta tutte le date. Speriamo di fare quanti più concerti possibili perché a noi fondamentalmente piace suonare, andare in giro e stare in mezzo alla gente! Credo sia proprio la cosa più bella che ci sia, incontrare gente e vedere che pian piano la comitiva si allarga… è proprio una bella sensazione! A noi piacerebbe un sacco suonare fuori dall’Europa, perché ci interessa visitare e suonare: siamo andati in Senegal in qualità di musicisti e credo che in maniera diversa non ci saremmo mai andati. Vorrei ripetere la stessa esperienza in altre parti d’Africa o in Sudamerica.

Ringraziamo Roberto e Vincenzo per la simpatia e la disponibilità, rivolgendo loro i nostri più sinceri auguri per il nuovo album e per il prossimo tour.  

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