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Foscari Nei giorni del rinoceronte: cercare sé per conoscere gli altri | Intervista

di Giorgia Groccia.

Marco Foscari, classe ’87, in arte Fóscari è un cantautore di Cava de’ Tirreni e romano di adozione.
Fuori dall’aprile 2018, per l’etichetta romana Terresommerse/Lachimera dischi, il suo primo disco dal titolo atipico e curioso: “I giorni del rinoceronte”, al quale segue un tour primaverile che lo porta a suonare nelle maggiori cittá italiane. L’artista dalla personalità prorompete e definita, durante la promozione dell’album, e in generale durante la sua carriera, vanta aperture di concerti di tutto rispetto quali Gio Evan, Arriva ù, Tosca, Noemi, Zero assoluto.

Questo disco può definirsi un vero e proprio invito all’osservazione. In un’epoca alienata e frenetica, in cui si osserva tuttalpiù il display del cellulare o il monitor del computer, in un momento storico così socialmente delicato e frastornato dall’iper comunicazione che, in fin dei conti, non comunica nulla, il giovane cantautore decide di restare in standby per assaporare il mondo circostante, la condizione generale per la creazione di qualsiasi atto vitale, la poesia del quotidiano, l’empatia nei riguardi di ciò che vive e di ciò che resta inerme, come ad esempio gli oggetti. L’assaporare ciò che è altro da noi parte proprio dalla ricerca di sé, e per concluderla bisogna ritagliare spazi e momenti. La solitudine di cui parla Foscari non è accostata al malessere ma, al contrario, è un rito, un’iniziazione verso la crescita e la maturazione, il rispetto verso ciò che ci circonda. La riscoperta del proprio posto al mondo e dei propri spazi diviene tema portante delle nove tracce che compongono il progetto caratterizzato da sonorità pop e rock che, mescolandosi, ricreano un viaggio dalle sfumature agrodolci, un’oscillazione naturale verso l’instabilità, la difficoltà nel riuscire ad esprimersi, la ricerca totalizzante di qualcosa che vada oltre ciò che l’occhio non vede.

Senza troppa spiritualità, I giorni del rinoceronte, racconta un sé in cui tutti dovremmo poterci specchiare ed ammirare, uno splendido ritratto del proprio volto migliore.

 

 

Abbiamo incontrato Marco Foscari in occasione della sua partecipazione imminente, il 17 ottobre 2018, alla prima serata della seconda edizione di It’s Up 2U!
E questo è il resoconto della nostra splendida chiacchierata.

Questo disco è un invito all’osservazione. Ma Foscari che tipo di osservatore è?
Io sono un osservatore totale. Nel senso che certe volte mi fisso, ai limiti dell’ossessione. A volte le persone pensano che le fissi per qualche motivo, invece no. Mi piace l’osservazione perché non mi basta uno sguardo per capire qualcosa da qualcosa, devo restarci su almeno per un minuto, e per cercare di capire. Sono un osservatore ossessivo.

Spiegaci il titolo “I giorni del rinoceronte”.
Un giorno non avevo nulla da fare, quindi ho cercato su internet quali fossero gli animali più solitari del mondo. In questa lista i primi posti erano occupati dall’orso e dal rinoceronte. L’orso però ha una solitudine che comprende l’andare in letargo. Invece il rinoceronte prende dei momenti di pausa dal branco, e i giorni del rinoceronte sono in giorni in cui sono stato lontano dal mio branco per scrivere il disco.

Tre brani che hanno segnato dei passaggi nella tua vita?
Sicuramente Time dei Pink Floyd, Per combattere l’acne di Vasco Brondi, Nuotando nell’aria dei Marlene Kuntz.

Quanto conta nella tua vita la solitudine e il ritagliarsi spazio per sé?
La solitudine spesso viene vista come fosse un male, un qualcosa di negativo perché viene confusa con l’eremitaggio o stare ai confini con l’anti sociale. Io invece ho voluto dire in questo disco che è importante imparare ad accettare la solitudine, ad utilizzarla per comprendersi meglio per poi tornare dagli altri. Bisogna avere coscienza di chi si è. La solitudine è una condizione necessaria, non cupa, non negativa, non politica. In una società frenetica come quella in cui viviamo oggi bisogna prendersi dei periodi temporanei in cui si cerca di capire un po’ più a rilento ciò che ci circonda per poi stare insieme agli altri.

Quali sono i retaggi musicali che ti hanno portato sin qui?
Il genere che faccio non ha molto a che vedere con la musica che ascolto. Nell’arco della vita, come tutti, ho spaziato verso vari generi musicali. La musica mi piace quasi tutta tranne forse il reggaeton. La mia musica non è lo specchio della musica che mi piace. Io sono grande fan del post rock e del metal, ma il tipo di musica che faccio è quella che credo di poter e saper fare.

Come definiresti la tua musica?
Alternativ pop, perché non riesco completamente ad associarmi all’it pop. Ci sono anche sonorità rock nel mio disco. Il mio pop è alternativo rispetto a ciò che si sente oggi. C’è l’idea di ignorare le sonorità in voga, riprendendo il classic pop (che ad oggi sembra essere più alternativo dell’it pop).

 

 

Le nove tracce sono nove domande. Hai trovato le risposte che cercavi?
Ti direi che le risposte si trovano e le ho trovate, però poi passa il tempo e non bastano più, le domande si ripropongono e le risposte non sono più esaustive, poiché sempre temporanee, a differenza delle domande che invece restano sempre le stesse.

Cosa pensi del panorama indie pop che man mano si sta sviluppando sempre più?
È una cosa positiva la diffusione dell’indie trasformato oggi in it pop. Le persone si sono riavvicinate al cantautorato e alla nostra musica italiana. In un certo periodo eravamo stati sommersi da prodotti esterofili: la musica italiana però ha saputo porre un muro alternativo di artisti e di nuove frontiere musicali che hanno coltivato un pubblico in via di sviluppo. Per me è un bene che l’indie sia divenuto così popolare. Come tutte le cose che hanno successo però c’è il rischio che diventi una musica pretaporter come l’hanno definito i coma cose in una canzone. Una cosa che prendi consumi e getti via. Invece l’indie dovrebbe conservare il suo essere slow music: la scoperta di un artista e il conseguente seguirlo. Invece la massa spesso segue le nuove uscite popolari, senza affezionarsi troppo, o al contrario affezionandosi troppo e troppo velocemente, senza andare in profondità, come succedeva negli anni 2000 nei quali gli artisti facevano una canzone e poi sparivano. Temo ci sia questo rischio.

Cosa pensi del dislivello numerico tra cantautori e cantautrici?
Esiste un grande dislivello purtroppo; negli ultimi due anni sono uscite molte cantautrici come ad esempio la mia amica Federica Mesa, ma la percentuale resta sbilanciata. È sempre stato cosi nella musica italiana, negli anni sessanta c’erano molte cantanti ma erano interpreti. Questo retaggio proviene da lontano, per tanto tempo la cultura poetica è stata in mano agli uomini. Non ci sono poetesse o sono davvero poche, quindi penso derivi da questo, la poesia era appannaggio maschile.

I tuoi progetti nell’imminente futuro?
Abbiamo concluso un tour, adesso avremo una data a Terracina a novembre. Poi uscirà un video nuovo e a gennaio un altro inedito. Tra febbraio e marzo del 2019 riparte il tour.

 

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