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Elisabetta Previati è il nuovo singolo “Antiche Melodie D’Amore”

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Fuori dal 4 aprile “Antiche melodie d’amore”, l’album di debutto della cantautrice Elisabetta Previati. Dieci canzoni che sembrano trasportare l’ascoltatore in un’epoca diversa con il suo sound tra folk e world music. “Antiche melodie d’amore” non ha avuto una genesi facile. I brani presenti sono stati scritti nell’arco diversi anni, ma è proprio grazie a questa peculiarità che riescono a raccontare meglio la vita della cantautrice. Le canzoni si sono sviluppate spontaneamente attorno il leitmotiv dell’amore, espresso in modo volutamente un po’ classico, quasi retrò, sia per le melodie che per le suggestioni nei testi.

In questo disco ritroviamo brani in italiano e in inglese, ma tutti sono legati da un’immaginario fantastico. Elisabetta racconta emozioni, amore e sensazioni come se fossero delle favole d’autore. Il risultato è un viaggio immersivo in un mondo diverso, ma che ci permette di sopravvivere nella routine di tutti i giorni.

L’abbiamo intervistata.

1. “Antiche Melodie D’Amore” è il tuo nuovo album. Vuoi raccontarci come è nato questo disco e il suo titolo?
A un certo punto ho sentito che alcune canzoni cominciavano ad aggregarsi attorno a uno stile, a un linguaggio musicale preciso. E soprattutto ho smesso di sentirmi solo una cantante o arrangiatrice: ho iniziato a sentirmi una cantautrice.
Il titolo nasce dal brano Antica melodia d’amore, ma anche dal desiderio di evocare, fin da subito, un mondo un po’ retrò, con una ricerca sonora che guarda al vintage, soprattutto nel trattamento delle voci e negli arrangiamenti.

2. “Il canto del bosco” sembra un pezzo dedicato a tuo figlio. Cosa ne pensa lui della tua musica? Ti ascolta?
Il canto del bosco è nato durante una delle tante passeggiate con mio figlio. Lui correva, esplorava, quasi dimenticandosi della mia presenza… ed è stato proprio in quel momento, osservandolo da lontano, che ho iniziato a comporre il brano sul cellulare. Il giorno dopo sono tornata nello stesso identico punto del bosco per continuarlo, cercando di ritrovare quel filo emotivo così forte. I miei figli adorano la mia musica — credo di poterlo dire senza esagerare. Me la chiedono spesso, la cantano, la prendono sul serio. Sentono che è una parte importante di me, e forse anche per questo la vivono con grande partecipazione.

3. Hai detto che vivi tra due mondi: quello italiano e quello svizzero/tedesco. Come convivono dentro di te questi due “linguaggi emotivi”?
Questi due mondi convivono in modo fluido. La vita in Germania prima, e in Svizzera poi, ha cambiato profondamente il mio modo di vivere e di scrivere. Mi ha regalato spazi di silenzio, lentezza, una vicinanza intima con la natura. È lì che ho iniziato a scrivere davvero. In Italia invece c’è la mia radice affettiva, culturale, linguistica. È un equilibrio tra rigore e passione, tra boschi e caos, tra riflessione e improvvisazione. E tutto questo si riflette nelle canzoni.

4. In “Caro Scott” si parla di Zelda, ma anche un po’ di te. Ti senti più vicina a lei come donna, come artista, o entrambe?
Entrambe, senza dubbio. Zelda è diventata per me una presenza forte, quasi un simbolo. Mi ha colpita la sua fragilità e la sua forza insieme, il modo in cui ha cercato di esistere come artista in un mondo che non le lasciava spazio.
Leggendo le lettere tra lei e Scott Fitzgerald ho sentito un grido di dolore profondissimo, un senso di solitudine e abbandono che mi ha molto colpita e fatta soffrire. La sua permanenza in clinica psichiatrica, decisa contro la sua volontà, mi è sembrata un’ingiustizia crudele.
È un messaggio estremamente attuale, oggi che si parla tanto — e giustamente — di patriarcato. Devo ammettere che, dopo quella lettura, ho provato rabbia verso Scott: per ciò che le ha negato, per come ha silenziato la sua voce.
Ho sentito il bisogno di darle voce, di riabilitare la sua figura, anche attraverso la mia canzone. Caro Scott è un omaggio, ma anche una presa di posizione: un modo per affermare il diritto di ogni donna a essere ascoltata, creduta, libera.

5. Com’è cambiato il tuo modo di scrivere da quando sei diventata madre?
Prima di diventare madre avevo scritto pochissime canzoni. Quasi tutto quello che si trova nel disco è nato dopo. La maternità mi ha resa più consapevole del tempo: ogni spazio creativo è diventato più prezioso, più denso. Scrivere è diventato un atto ancora più necessario, anche se rubato tra le cose. Ma è proprio questa intensità che ha nutrito le mie canzoni.

6. C’è un brano che consideri il cuore del disco? Quello che riassume meglio tutto il senso del progetto?
Il brano che considero il cuore del disco è proprio l’apertura: Queste tue parole d’amore. È stato il primo ad essere arrangiato, e nel momento in cui l’ho scritto ho capito che volevo davvero fare un album. C’è qualcosa in quella canzone che contiene già tutto il resto: le percussioni dal sapore world, le voci armonizzate, gli archi, il flauto, il vibrafono… musicalmente è come una sintesi, un’introduzione emotiva e sonora a quello che verrà dopo.

7. Qual è la prima cosa che vorresti che arrivasse a chi ascolta questo disco per la prima volta?
Vorrei che si sentisse la cura. La dedizione con cui ogni nota è stata scelta, ogni armonia costruita, ogni parola pesata.
Spero che arrivi la voce: nel senso più ampio. La voce come mezzo espressivo, come materia viva. E poi l’emozione — quella sottile, a volte nascosta — che vibra tra i suoni. Mi piacerebbe che chi ascolta trovasse qualcosa di sé in ciò che racconto: un ricordo, un’immagine, un sentimento che torna a bussare.

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