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A tu per tu con @Opera

Dopo un’adolescenza passata a girovagare fra strade piene di musica e musica piene di strade (dall’HipHop alla canzone d’autore, dal rock psichedelico al reggae); dopo esser disceso negli inferi della sua generazione e aver divorato Heidegger, Kant e Warhol; dopo aver pagato dazio ad un tempo che non accetta tempo – come un guerriero senza spada, con lo sguardo dritto e aperto sul futuro – e aver pubblicato quattro singoli capaci di attirare l’attenzione di pubblico e addetti al settore, OPERA accorda le trombe dell’Apocalisse e prepara la Sinfonia finale di un disco d’esordio che farà parlare di sé, Manifesto di un nuovo modo di pensare la Rivoluzione aperto a chiunque (artisti, pubblico e addetti al settore) abbia orecchie per ascoltare e un cuore da far battere al centro del petto.

Ma prima di tutto questo, “Gazza di Monet” – il quinto singolo di OPERA per Strongvilla – vola alto sulle sindromi da playlist e sulla rincorsa ad una liquidità che erode e annega: dal 17.9.2021 su tutte le piattaforme digitali

Ciao Opera, e benvenuto su Tuttigiuparterre. Partiamo dall’inizio: come hai cominciato a fare musica, fino ad avvicinarti a Strongvilla? Quali sono le radici di “OPERA”?
Ciao! Ho cominciato a scrivere brani da giovanissimo, all’età di 13 anni. Mi capitò casualmente di ascoltare una canzone di Tupac “Changes” in onda su una radio americana “Hot 97.3”. Banalmente mi chiesi chi fossero questi “Tupac” pensando che fosse un gruppo. Oltre al simpatico aneddoto, ricordo che a colpirmi di più fu la parte del brano dell’artista “Talent” che cantava una melodia super Soul nel ritornello. Così fra ascolti occasionali, ma leggermente più mirati, mi resi conto che il rap era un linguaggio diretto e che dovevo provarci anch’io. Sono cresciuto in un paese di 7.000 persone, nessuno mi ha insegnato a scrivere, ci ho sbattuto la testa. Ho viaggiato senza biglietto per andare ad eventi in treno, ho frequentato svariati studi homemade e battle di freestyle nelle città del nord Italia. Pochi anni fa, ad uno di questi eventi in cui mi ero esibito c’era Strongvilla, rappresentata in carne ed ossa da Virgo e Kuma19 i miei due attuali produttori. A distanza di mesi i ragazzi mi chiesero se volessi aprire una delle loro serate prima di Nerone e Gianni Bismark. Ovviamente accettai. Da cosa nasce cosa, e alla fine ci siamo trovati in studio per fare un po’ di musica assieme. Come ben vedi, ad oggi non abbiamo perso il vizio!

Hai pubblicato fin qui diversi singoli, capaci di spaziare tra mood e atmosfere diverse senza perdere il piglio Hip-Hop che caratterizza tutta la tua produzione. Quali pensi siano, arrivati qui, i cardini centrali dell’identità di Opera?

Quello che hai appena detto è un complimento e ti ringrazio. Difficile dare una risposta certa. Penso sia proprio la ricerca eterna della perfezione. Alla fine capisci che quando l’hai trovata non è per niente perfetta, ma il fatto di averla cercata per molto tempo, ti ha fatto calpestare talmente tanti sentieri che ora riesci a creare un’autostrada. Se parliamo di gusto, il suono “classic” mi attira, ma portarlo cosi com’è nell’epoca attuale non mi da stimoli, ha fatto la sua storia perché ha risposto a necessità di quell’epoca. È come pensare di dover combattere ancora la seconda guerra mondiale. I miei ascolti sono per la maggior parte datati, e nella mia musica lo senti. Il fatto è che cerco di estrapolare da quei periodi altre cose, non per forza il suono. Come ad esempio la dedizione, gli ideali, la libertà d’espressione. Sicuramente con il loro tocco “sonoro” Virgo, Kuma19 e Iulian (il chitarrista), hanno contribuito a rendere il progetto ancora più identificativo. 

Certo che la tua identità si fa sentire eccome, e ora trova anche la via del manifesto: una vera e propria chiamata alle armi per chiunque sia saturo di un certo tipo di “filosofia mercificante” del mercato dell’arte. Da dove nasce l’idea di un manifesto e sopratutto, qual’è l’antidoto?

Il manifesto nasce da un’idea di Virgo, che ispirandosi al titolo del disco ha trovato questo modo, mai banale, di comunicare qualcosa agli altri, manifestandolo appunto in uno scritto. Non abbiamo inventato nulla, ne parliamo spesso. Però se c’è una cosa che sicuramente abbiamo fatto è aver preso posizione, mettendo su carta un pensiero latente per molti, che ci sembrava non materializzarsi mai in un’azione reale. L’antidoto a questa situazione di mercificazione è la cultura e la diffusione di un pensiero alternativo. Generalmente erano gli artisti stessi a combattere la mercificazione (se eccessiva) dell’arte, talvolta combattendo contro scelte di mercato di alcune etichette o produttori, oppure semplicemente diffondendo un pensiero critico attraverso le canzoni. Oggi invece è l’artista a diffondere il messaggio “più vendi, meglio è”, non è per forza sbagliato vendere, sia chiaro, ma non crediamo che il risultato debba essere centro della comunicazione dell’artista, ci sono molti luoghi per vantarsi dei propri successi, e molte cose urgenti da affrontare. Non penso che i testi delle canzoni e la visibilità acquisita siano ben utilizzati se si parla di quanto si “spacca”. Se gli artisti sono impegnati a “combattere” tra di loro, della ricerca, della protesta, della sperimentazione, dell’avanguardia, della condivisione, chi se ne occupa?

Più in generale consiglio alle persone di trattare l’arte come meglio credono, ma cercando di esaltare sempre quest’ultima, non quello che le gira attorno, compresi noi stessi.

Che cosa significa, per te, “artista” e cosa invece “opera d’arte”. Potrà sembrare una domanda stupida, ma il tuo Manifesto Dell’Arte Prima” dimostra tutto il contrario…

Sono due definizioni complesse e di libera interpretazione. Senza dare uno sguardo al passato, credo fermamente che l’artista sia chiunque senta la necessità di dare sfogo al proprio pensiero o attraverso la creatività. Per farlo, si esprime attraverso un’opera d’arte, risulta quindi portatore di quest’ultima, veicolo che rende visible l’arte nella relatà. L’arte è già nella realtà, ma non sempre è visibile a tutti. L’artista grazie alla sua capacità di osservare, seguita dalla capacità tecnica di creare, rende visibile l’arte, attraverso la sua opera, cito dal manifesto “L’arte riesce a rendere straordinario l’ordinario. Ed ecco che un’azione abitudinaria può finire in un quadro, un semplice comportamento si trasforma in una canzone, un evento routiniero è il presupposto per un libro ecc…”

“L’Arte Prima”, tra l’altro sembra essere anche il titolo del tuo disco in uscita il primo ottobre. Tuttavia, oggi siamo qui per parlare di “Gazza di Monet”: già nel titolo, in effetti, emerge una certa attenzione alla storia dell’arte. Ci parli un po’ del brano?

-Non sono un esperto di pittura. Mi affascina, e sto cercando di recuperare col tempo. Una sera avevo questa musica sotto, e una linea melodica forte. Mentre cercavo un testo adatto, navigavo nel mare tempestoso di Internet e, non so come mai, il quadro di Monet mi è capitato davanti agli occhi, suggerendomi qualcosa. Così da bravo autore ho progettato la storia che ci stava dietro. Il brano parla di una rapina finita male, non tanto nella sua esecuzione, ma nel rapporto che lega i due protagonisti in seguito al colpo effettuato insieme. Gazza di Monet è la prova in musica che non sono le circostanze ad arricchire i rapporti, bensì i rapporti veri ad arricchire qualsiasi tipo di situazione.

Anche la copertina, in effetti, nasconde particolarità interessanti. E in qualche modo, per noi che abbiamo già sbirciato la copertina del disco in uscita, sembra collegarsi proprio a “L’Arte Prima”…

La copertina è nata da ore di confronti e dissertazioni tra me, Virgo e Tommy (Tommaso Barbato graphic designer) su Zoom e Whatsapp. Volevamo rappresentare l’arte come bisogno primario, ma anche trasmettere il concetto di semplicità, di “straordinario nell’ordinario”. Abbiamo preso l’acqua, che ci è sembrata la cosa più primaria che c’è, e l’abbiamo messa nella bottiglia simbolo delle vacanze, dell’infanzia, quella riempita artigianalmente solo con cose buone… il resto è solo punto di vista.

Domande semplici, di routine: la prima cosa che, nella vita che vorresti, sogni di fare al mattino e l’ultima che sogni di fare prima di dormire.

-Questa è la domanda più difficile fino ad ora! Non mi adagio mai sugli allori, ma mi concedo momenti di pausa che mi permettano di lavorare bene. Preambolo fatto. Non sogno nulla di appariscente, direi che al mattino mi basta un buon caffè, un cornetto alla crema e un libro. Alla sera un bicchiere di vino rosso in compagnia e magari un film di Paolo Sorrentino o Chris Nolan!

E ora, dal vivo, quando?

-La situazione al momento è delle peggiori e rasenta il ridicolo. Se tutto dovesse andare bene aspettiamo l’uscita del disco, e qualche serata ci sarà indubbiamente. L’estate ci ha dato la possibilità di fare il rodaggio dello spettacolo che abbiamo preparato, un progetto a mio avviso ambizioso, se azzeccato o meno, lascio a voi deciderlo. Non c’è solo la musica, ci sono anche le arti visive, gli interludi musicali con la lettura del manifesto. Quello che serve per portare avanti un messaggio.
Grazie dell’intervista è stato un piacere!

 

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