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4 anni senza Baustelle sono stati troppi

“Il nuovo disco sarà oscenamente POP…” aveva anticipato Francesco Bianconi in tempi non sospetti, quando L’Amore e la Violenza non aveva ancora una data d’uscita ed i fan dei Baustelle smaniavano, a secco da 4 lunghissimi anni dopo la pubblicazione di Fantasma ed il magnifico tour che la seguì.
Non sappiamo cosa di preciso volesse significare quell’oscenamente, ma L’Amore e la Violenza ci ha restituito i Baustelle nella versione che forse più di tutte ce li aveva fatti amare, i sintetizzatori hanno (ri) preso il posto di archi e fiati, un disco di un POP sofisticato e contaminato, diverso dal “monumentale” Fantasma ma lo stesso “oscenamente” bello. Inalterate invece, sono le emozioni dell’attesa nonché la location: la magnificenza della sala Santa Cecilia nell’Auditorium Parco della Musica di Roma regala sempre gli stessi brividi, anche quando si spengono le luci ed un giovane con lunghi capelli lisci ed un abito luccicante prende posto a centro palco. E’ Lucio Corsi, cui va l’arduo compito di aprire il concerto. Presenta il suo album Bestiario Musicale (Picicca Dischi, 27 gennaio 2017) con quatto soli pezzi eseguiti voce e chitarra in solitaria: atmosfere fiabesche, strofe tra il cantato ed il recitato costruite senza l’ossessiva ricerca delle rime, un po’ De Andrè ed un po’ Fiumani passando per Branduardi (mi sia consentito), forse ostico ad un primo ascolto ma capace di conquistare attenzione ed interesse. Poi il momento più atteso, la porta laterale del palco che si schiude, entrano i musicisti (l’immenso maestro Maiorino al basso è ancora presente dal 2008), entra Claudio, entra Francesco, entra Rachele, gli applausi sfumano nei suoni, pochi attimi e si riconosce Love, che apre il concerto proprio come il disco. Poi Il Vangelo di Giovanni, Amanda Lear e tutti i pezzi de L’Amore e la Violenza sciorinati con la solita elegante e distaccata energia. I Baustelle sono sempre loro, Claudio ha perso qualche capello ma non lo smalto alla chitarra, Francesco la barba e forse ancora qualche chilo ma sembra più bravo ed addirittura più simpatico. Rachele non ha perso niente, è sempre fantastica. Tanto spazio sul palco ed allestimento stile studio televisivo anni ‘70, con le tastiere di Rachele e Francesco nel mezzo appena dietro al microfono principale, chitarre e basso ai lati ed una moltitudine di sintetizzatori a fare da cornice ad uno sfondo di schermi luminosi (si, non c’è la batteria).
Scorre via la prima parte ed alla ripresa, l’atmosfera inizia a scaldarsi seriamente. Si riparte con Charlie fa surf, poi il ritmo cresce ancora con Un Romantico a Milano e Gomma e le poltrone cominciano ad avere il loro da fare per trattenere chi le occupa.
Francesco introduce Bruci la città fomentando ancor più gli animi: “Noi siamo tristi, non prendeteci ad esempio, continuate a bruciare d’amore”, poi prova a smorzarli intonandone una versione melodica e struggente. Ma forse simbolicamente, su La canzone del riformatorio, il primo impavido riesce a vincere la presa del velluto ed evadere da una poltrona delle retrovie per fiondarsi sotto al palco a braccia alzate. E’ il punto di non ritorno: in pochi secondi un’onda umana attraversa la platea per riversarsi nello spazio che separa il palco dalle prime file, mentre io, mani tra i capelli, non capisco se sia più emozionante cosa succede sul palco o ciò che sta accadendo sotto. Fino a realizzare che è un tutt’uno, che il pubblico dei Baustelle ne sentiva la mancanza e non vedeva l’ora di fondersi nuovamente. Un episodio stupendo, da emulazione, che spero possa suggerire alla band che forse (ma forse eh…), sarebbe il momento di tornare ad un live all’aperto, di quelli con 30 gradi ed un grado d’umidità che ti fa desiderare le branchie, di quelli che alla fine fai schifo ma sei tanto bello e sorridente.
Finisce anche la seconda parte ma nessuno si muove in attesa del bis, che parte con l’inedito Veronica n.2, poi l’ennesimo omaggio alla città con Nun je da retta Roma e la chiusura vera con Le Rane.
Dopo gli inchini ed i saluti i Baustelle sfilano verso la porta laterale. Esce Claudio, esce Francesco, esce Rachele. Così mentre la soddisfazione fa a braccio di ferro con la tristezza della fine, fa capolino quel sorriso che solo chi sa di avere già in tasca i biglietti per la data bis del 30 aprile può capire. Perché dopo averli riabbracciati è ancora più chiaro: quattro anni senza Baustelle sono troppi.

 

Riccardo Magni

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